Una pila di gomme accatastate dietro a un’officina, o un sacco lasciato sul ciglio di una strada: scene che si vedono più spesso di quanto si creda e che nascondono un problema regolato da norme precise. Quando si cambia il treno di pneumatici la domanda più comune non è il modello giusto ma dove vanno buttati. In Italia gli pneumatici usati non sono rifiuti qualunque: costituiscono i PFU, Pneumatici Fuori Uso, e la loro gestione è disciplinata per evitare impatti ambientali che possono essere rilevanti.
La norma di riferimento è il Decreto Ministeriale n. 82 del 2011, che ha definito un sistema pensato per limitare lo spreco e favorire il recupero dei materiali. Al centro c’è un meccanismo semplice nella sostanza: al momento dell’acquisto si paga un contributo ambientale destinato a finanziare la catena dello smaltimento. Questo contributo varia per peso e dimensione della gomma: per pneumatici leggeri si va da circa 0,58 € a 7,56 €, mentre per mezzi pesanti può salire a importi decisamente più alti. In media, sostituire quattro gomme aggiunge circa 10–12 euro al conto finale, già incluso nel prezzo di vendita.
È fondamentale che il contributo compaia in fattura, anche per acquisti online o all’estero, così da garantire tracciabilità e finanziare correttamente i consorzi di smaltimento, gli unici autorizzati alla raccolta. Un dettaglio che molti sottovalutano: senza la prova d’acquisto è più difficile dimostrare la provenienza del rifiuto in caso di controlli. Lo raccontano i tecnici del settore e lo nota chi frequenta le officine ogni stagione.

Come funziona la filiera e cosa succede alle gomme vecchie
Per il consumatore il sistema è pensato per essere trasparente: al cambio, il gommista è obbligato a ritirare gratuitamente gli pneumatici usati, perché il costo è già stato coperto dal contributo ambientale. Il professionista deve poi stoccare correttamente i PFU nel proprio centro e richiedere il ritiro ai consorzi riconosciuti, che si occupano del trattamento. Le fasi tecniche sono chiare: raccolta presso le officine, separazione delle parti metalliche, triturazione in frammenti e recupero dei materiali per nuovi prodotti.
Dai pezzi triturati possono nascere materie prime per l’industria dell’asfalto, per la produzione di nuovi pneumatici o per combustibili alternativi; i residui non riciclabili sono trattati in impianti dedicati e smaltiti in modo controllato. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è l’aumento dei volumi di PFU, quando i cambi stagionali moltiplicano le consegne alle officine: questo mette alla prova la capacità logistica dei centri di raccolta.
Non mancano i rischi: il traffico illecito e l’abbandono restano problemi concreti. Per i professionisti le sanzioni possono raggiungere decine di migliaia di euro; per i privati l’abbandono è punito con multe da 300 a 3.000 euro, oltre ai costi di bonifica delle aree contaminate. Non va confuso il pneumatico stagionale conservato con il PFU: trasportarlo nel bagagliaio è lecito se se ne dimostra la provenienza con una fattura del gommista. Molti poi scelgono soluzioni creative di riuso domestico — fioriere, sedute da giardino, piccoli arredi — trasformando il rifiuto in risorsa. Alla fine, ogni automobilista può contribuire concretamente: consegnare le gomme usate al gommista e verificare la presenza del contributo ambientale in fattura può sembrare un gesto minimo, ma moltiplicato per milioni di veicoli produce un effetto visibile sull’asfalto che percorriamo ogni giorno.





